Dal nomadismo astratto all’estetizzazione del quotidiano
Being an artist now means to question the nature of art
Joseph Kosuth, Art After Philosophy, 1969
1. L’impero dell’estetica
Fu Alexander Gottlieb Baumgarten (1714-1762) a coniare il termine “estetica” per designare una nuova disciplina filosofica addetta a studiare l’arte e la natura del bello. Come riflessione filosofica sull’arte, l’estetica arrivò al suo apice con Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831). L’estetica hegeliana (una filosofia spirituale dell’arte) é una profezia sul fine dell’arte. È una “preghiera funebre”, secondo il filosofo neohegeliano Benedetto Croce (1866-1952). Inoltre: la profezia hegeliana annuncia il collasso dell’estetica tradizionale. Accade che gran parte dell’arte del secolo XX è stata una reazione contro il concetto tradizionale dell’estetica. Gli autori, le correnti e i movimenti artistici che in questo secolo hanno polemizzato la nozione tradizionale dell’arte, confermarono nella pratica la visione apocalittica hegeliana. Hegel predisse la scomparsa della forma nell’arte e questa si “svanì” durante questo secolo. Il processo è stato possibile grazie a un lungo percorso di dis-costruzione artistica, che allo stesso tempo fu un processo di dis-estetizzazione e di dis-definizione dell’arte.
Negli anni dieci del secolo passato, Marcel Duchamp, mago postmoderno, tirò fuori dal cilindro un urinario che alla fine avrebbe trasformato l’arte. Andy Warhol, icona fredda degli anni sessanta, si aggiunse all’impresa e convertì prodotti commerciali in oggetti artistici. Il risultato di queste posizioni sovversive presto si fece presente. L’estetica del quotidiano, l’idea che qualsiasi oggetto, per quanto banale o ordinario possa essere, é potenzialmente un oggetto artistico, finì con l’imporsi. D’un tratto, tutta la nostra vita quotidiana è divenuta estetica. Adesso tutto può essere arte, non esiste più un confine tra l’aggetto artistico e l’oggetto quotidiano; la frontiera tra l’arte e la realtà è svanita.
L’estetica contemporanea non cerca di esaminare minuziosamente i nostri sensi per rivelare l’essenza dell’arte e il mistero della bellezza. L’estetica contemporanea si adatta ogni volta di più al nuovo regime dell’arte. Non esiste più un’estetica dell’opera, ma un’estetica degli atteggiamenti, delle esperienze, dei procedimenti, dei progetti e della pazzia degli artisti contemporanei. Oggi l’estetica sta dappertutto: negli annunci pubblicitari, nelle scatole delle scarpe, nelle bottiglie delle bibite, nelle ruote delle macchine, nelle partite di calcio, nelle torte di cioccolata ... . Oggi l’estetica non si domanda più: che cosa è l’arte?, ma come si può fare arte?, quando c’è arte?, per quale ragione esiste l’arte? Nel villaggio globale dell’arte, qualcuno può sottrarsi all’Impero dell’estetica?
Guardare all’oggetto
Nell’anno 2006, Eduardo Romo (Città del Messico, 1966) dette una svolta alla sua produzione. Dopo anni di lavoro e sperimentazione con la scultura, l’autore decise di reclamare il suo diritto alla contemporaneità e sommarsi all’arte globale dei nostri tempi. Iniziò allora il progetto cercando la “alterità”, una riflessione sull’oggetto artistico e sulla relazione con l’oggetto quotidiano. Mettendo in discussione il proprio lavoro scultorico, Romo prese un’opera di sua paternità, una scultura circolare in legno, per cercare oggetti simili nell’ambiente urbano. Durante quattro mesi, girò per la Città del Messico cercando i referenti del suo pezzo tridimensionale: quegli oggetti cittadini che assomigliavamo alla scultura nella sua struttura basica, senza importare che il colore, il materiale, la misura o la consistenza di questi fosse differente. Con parole dell’artista, questo progetto è stato: la storia di una scultura astratta che passeggia per la Città del Messico cercando la sua identità negli oggetti ai quali crede di assomigliare o appartenere al suo gruppo familiare.
Questa storia di un nomadismo astratto ha avuto un finale felice. La scultura circolare ha trovato fratelli e sorelle oggettuali in tutti i luoghi. Romo ha fatto fotografie di questi re-incontri familiari per lasciare una testimonianza di quello che era solo l’inizio della sua nuova avventura.
In seguito alla sua scoperta dell’estetica presente nell’ambiente urbano, Eduardo Romo ha deciso di essere più ambizioni, ampliando il suo progetto per seguire la riflessione sull’oggetto estetizzato del nostro tempo. Nel suo progetto attuale: sette sguardi dell’oggetto verso l’idea dell’oggetto, riflette sull’estetica generale che distingue il mondo globalizzato nel quale viviamo. Il progetto consiste in sette lavori che sono strategie di avvicinamento dell’artista all’oggetto quotidiano. In tutti e in ognuno di questi lavori, Romo esplora l’interazione dell’oggetto con il proprio ambiente, per risaltare che un determinato oggetto è solo un oggetto fino a che non viene definito opera d’arte, e allo stesso tempo, che la opera d’arte è di per sè un oggetto. Romo si avvicina alla realtà quotidiana, concentrando il suo sguardo negli oggetti, li studia nel suo contesto, li manipola, analizza il suo colore, la sua forma e il materiale con cui sono fatti, per poi scoprire le loro qualità estetiche e includerle nel suo nuovo discorso.
Cosciente dell’esistenza di un’estetica avvolgente, convinto che gli oggetti quotidiani possano provocare emozioni affini a quelli che risvegliano gli oggetti artistici tradizionali, convinto del fatto che gli artisti contemporanei hanno in questo mondo un arsenale quasi inesauribile per creare arte, Eduardo Romo ha iniziato tre anni fa una nuova fase nella sua produzione, secondo le richieste del mainstream. Per questo scultore e artista visuale, la produzione artistica, non si può più considerare secondo i termini dell’estetica tradizionale, ma deve consistere (come affermò Kosuth nel suo celebre saggio del 1969) in una riflessione sulla natura dell’arte,in una esplorazione dei meccanismi della creazione e in un’analisi dei segni linguistici. Fotografia, opera tridimensionale e video, sono i frutti che sta già producendo la nuova avventura artistica di Eduardo Romo.
Antonio Espinoza
Critico d’arte, Città del Messico, aprile 2008
Una forma nello spazio della forma dello spazio della forma nello spazio
¿Por qué irnos a donde no estamos?,
si donde estamos nace todo…
(Perché andarcene dove non stiamo?
Se dove stiamo, nasce tutto …)
Luis Ramaggio
Il Linguaggio agisce sempre in funzione di una verità che sorge, anche se questa verità risulta falsa davanti agli occhi dell’ovvietà e la struttura del reale. La realtà non si può mai porre la sua tipica domanda di verosimiglianza, perché non è così che si sazia il respiro poetico, né l’ispirazione creativa; sempre palpita un sospiro interno, l’ansia di sottrarre, e la cadenza del morfema concettuale. Però nel caso della tassonomia “cosica”, la concettualizzazione del compreso tende a distrarre i nostri affetti estetici verso la superficialità dell’uomo e il valore concettuale di quello che “esiste”.
Nelle vertebre della dimensionalitá suole apparire vettori e strade di poca evidenzia, momenti che, silenti, lasciano scappare grida di sete agli occhi che non si accorgono delle loro piccole presenze. Esiste una forma dentro la forma.
Nel discorso plastico, la metafora soccombe davanti alla gelosia dello spazio, cambiando queste due realtà formali l’orizzontale e il verticale. Che cosa c’è in mezzo?
Eduardo Romo genera un nuovo linguaggio, la cui struttura concettuale procura oltremisura la frattura nella predizione del tempo, ottenendo così, un gesto eroico nella storia di ogni oggetto.
Nella sua grammatica dello spazio, lo scultore lavora come se il discorso risiedesse nella natura del materiale stesso, e non nella sua trasformazione forzata. Cerca di ereditare al materiale un piccolo accento di verità, un ricordo di valore, in caso l’autostima di questo corpo fosse in questione. A chi parla quest’artista quando usa queste memorie? Allo spettatore? O al materiale stesso?
Il lavoro artistico di Eduardo Romo supera la sua propria intenzione. Nell’entrare nella semantica dei suoi spasmodici tratti mi rendo conto che esiste un tono primogenito che l’artista ascolta: la pausa del silenzio.
La sua opera non promulga la sublimazione dello spazio, ma poetizza con la meccanica della circostanza e rispetta con carezze pulcri, l’integrità del caso naturale.
Sembra che la sintassi neuronale della scultura di Romo, la verità è un fattore che si può mettere a nudo. L’anatomia del dettaglio si presenta in chiaro schemi di nozioni pure, discrepanti fortemente nella retorica fondamentalista.
Sarebbe facile qualificare l’opera di Eduardo Romo come un concilio tra arte e disegno, e tal volta denotare una paurosa amministrazione dello spazio in quanto alla potenzialità del materiale. Peró non siamo d’accordo, visto che è la voce del materiale a cui si affronta, chi detta con esigenza e solennità, essere rispettata e ascoltata con misura, sembra una azione reverente a cui questo sculture di ontologie si arrende ogni volta che il legno parla.
C’é eufonia corale nella fattura delle sculture di Romo, ogni incisione è un valore di assenza, che sequestra dagli occhi il bisogno di guardare, per ricordare che è lì, nell’immensità del nulla, dove giacciono senza riposo i nutrienti della realtà.
Eduardo Romo confessa a colui che lo ascolta, il segreto di una architettura della sincerità, una sinfonia dei ritmi sommessi e un’infinità di torsioni di pace.
La sua scultura rivela l’impazienza che riposa nell’oblio del legno. Poesia in prosa, geometria della casualità.
Luis Ramaggio
Critico d’arte, Città del Messico, maggio 2003
Processi
C’é chi pensa che guardare é gratuito...
Come se non fossimo niente, le cose del mondo si agglutinano nello sguardo umano, cercando di generare una ecologia mentale, una biologia del pensiero, o semplicemente subordinati di fronte alla forma, sacro attributo della realtà. In questi tempi, per capire l’umanità è necessario capire le cose; perché non siamo senza la figura.
Una luce insignificante appare nell’incosciente quando, irrimediabilmente, riconosciamo che la realtà ci imprigiona. Sapere che tutto quello che siamo è una cambiante conclusione degli altri esseri e condizioni precedenti, di altre menti, aliene, superiori o inferiori, ci costringe, ci riduce al processo.
Peró anche nella comprensione di tutto proceso è che possiamo capire la cosa e il suo essere. Perché anche se siamo esperti evocatori, sublimatori del significato e avventurieri della bellezza, siamo anche cosa. Quando guardiamo, guardiamo come guardiamo e, ci sappiamo guardati; guardo colui che mi legge:
Il tuo sguardo legge il mio sguardo
Eduardo Romo é, da sempre, un decodificatore. Nel suo lavoro troviamo una consistente esplorazione dello spazio e il fenomeno della figura. Pero non parlo della figura nell’implicito senso dell’antropomorfico o della forma conosciuta, se non nel tratto condizionato al duro regime dello spazio fisico. A lui piace sottolineare il tempo con incidenti, e cancellare la nozione formale del corporeo attraverso il silenzio, il vuoto.
Processo è un esercizio “ricostruttivo” di tutti questi principi. Eduardo Romo studia la verità della figura e i suoi differenti livelli di eloquenza attraverso la traslazione degli oggetti e delle cose a piani piú sublimi, o meno “reali” ( il piano fotografico, la scultura, la pittura, tra altri). Come un re- significato anatomico, usa i principi della retorica discorsiva per strumentalizzare i processi di significazione che portano l’oggetto e la cosa a convertirsi in un essere assente, occulto o “poco importante” di fronte allo sguardo umano.
Nella sua opera sempre trova un perverso modo di perdermi per una moltitudine di ragionamenti; una logica nuova, orbitale, s’impadronisce dei miei sensi quando guardo il suo lavoro scultorio, e ora, in questa esplorazione essenziale (quasi scientifica) della verità plastica e i suoi misteri, Romo osa disdirre il mestiere che lo ha formato. Sembrerebbe che adesso, sta invertendo il processo scultorio, alla salute di una verità sincera (perché non tutta la verità è sincera), capace di rigenerare nell’osservatore “un altro” respiro. Significa, se lo scultore “ra-presenta”, Romo ora, sta facendo “di-scultura” al presentare la verità del rappresentabile…
In effetti, sciami così, di logiche parallele e di fili concettuali aperti sono nutrienti che portano il creatore verso il suo interiore. E l’interiore sempre provoca un risveglio. Romo è alla ricerca di una logica senza voce.
Perché? Sicuramente per materializzare questi principi teoretici in realtà palpabili. Per trovare nella dimensione del quotidiano un respiro senza forma che ci renda, quale religione o promessa incompiuta, una goccia di umanità, di osservazione chiara, pura, asettica, della verità.
Luis Ramaggio
Critico d’arte, Cittá del Méssico, agosto 2009
Trasposizione
Abbeverando dalle acque dell’avanguardia europea dell’epoca tra le due guerre (dadaismo, surrealismo, futurismo, costruttivismo e produttivismo), il lavoro recente di Eduardo Romo ci mostra i nuovi cammini estetici e concettuali per cui transita. Di formazione scultore, Romo fa un’incursione in una nuova tappa della sua produzione per i terreni della fotografia, la grafica e il Ready Made. Piú interessato ai sistemi ideali delle relazioni logiche e spazio-temporali, visibilmente influenzato da artisti come Eduardo Chillida, Brancusi e Isamu Noguchi; allo stesso modo, nella sua esplorazione visiva riprende la via della nuova oggettività facendo riferimento ad artisti come Hiroshi Sugimoto e Bernd e Hilla Becher, tra altri. Romo pedina l’arte concettuale tale e come Kosuth affermava: tutta l’arte è concettuale perché l’arte solo esiste concettualmente.
Nella sua opera recente l’artista spoglia l’essenziale, elimina gli elementi eccedenti o quelli che proporzionano una bozza di una struttura atterrando, ben dritto, nel campo del minimalismo. Non mi sorprenderebbe che queste opere semplificate generassero un corto circuito nel recettore. In questa nuova serie di opere Romo ottiene la trasposizione di oggetti e contesti extra artistici a uno artistico e di conseguente un cambio di funzioni con il fine di segnare e, al tempo, sfidare l’idea dell’arte como un insieme di tipi di oggetti concreti, cioè, sottolinea la tendenza di Duchamp all’innalzare gli oggetti quotidiani a uno status di arte.
Le opere qui raccolte sono presentate anche come oggetti di dibattiti, confrontando lo spettatore a dialogare in differenti forme, rivela una certa tensione tra i problema critici e formali relativi alla definizione e l’identità artistica, così come un interesse generale per la sperimentazione culturale.
Juan Carlos Jaurena Ross
Direttore del Museo Ex Teresa Arte Actual, Cittá del Messico, agosto 2009
Spazi presenti
C’é il vuoto che sa di assenza. Vuoti che esplodono davanti a uno sguardo inesistente. Ci sono vuoti, cosí forti, che ci spazzano nella profondità del mistero; alla ricerca di un non-so-che, peró che batte continuamente nell’anima. Tali sono i vuoti che Eduardo Romo fa presenti nella sua scultura.
L’architettura è, per qualche scultore, il pretesto essenziale che gli permette esplorare con la sua opera quegli spazi che rivelano la presenza del vuoto. Con ragionamenti precisi esalta emozioni nascoste nei tratti organici del legno; tratti che lasciamo impronte, che invitano lo sguardo a ricorrere corridoi e tunnel, i quali si mozzano davanti a un meditato taglio trasversale, mettendo al confronto la possibile esistenza di costruzioni simultanee che non richiedono essere visibili per sentire la loro presenza.
Gli oggetti sensibili sono, allora, la geometria e l’immaginazione. Linee che irrompono, si prolungano, si fermano e continuano allungandosi; erigono tra spazio e spazio fatue realtà. Costruzioni che si urtano attraverso la vista nella memoria.
Dopo un arduo cammino e una ricerca persistente con differenti materiali, Eduardo Romo è riuscito a creare con la sua opera non soli spazi architettonici e astratti, ma questa ricerca impetuosa lo ha portato a sommergersi, poco a poco, nei suoi propri vuoti interni. È qui dove riflette intorno a quegli spazi con non per essere disabitati sono inesistenti, visto che è il vuoto quello che ci fa sentire la presenza del nostro essere e il nostro mondo.
Rebeca Mingo
Scrittrice e Editrice, Città del Messico, agosto 2005
Opere in costruzione
Delle manifestazioni artistiche tradizionali, la scultura è molto probabilmente quella che lungo il secolo XX ha avuto ed ha piú trasformazioni (formali e concettuali) fino ai giorni nostri. Il processo di dis-umanizzazione della scultura che è iniziato con l’avanguardia è risultato sommamente fruttifero e i suoi effetti perdurano fino ad oggi. Per questo la scultura, a differenza della pittura, si è adattata molto meglio ai nuovi discorsi estetici, muovendosi, simultaneamente attraverso delle forme che questi dettano. Lo stesso crollo delle sue barriere tradizionali gli hanno permesso abbordare, esplorare e sfruttare le nuove possibilità senza dover rinunciare all’essenziale che esiste in lei: la sua spazialità. Questa capacità di adattamento prima di essere criticata ha si applaudita, ha aperto rotte che un secolo fa erano inconcepibili.
Liberarsi dell’antropomorfismo ha permesso alla scultura transitare per nuovi e molteplici cammini. La ricerca di nuove forme si è convertita in esercizio primordiale degli scultori. È vero che lungo la storia, il lavoro di questi creatori è consistito in dotare di forme la materia attraverso un procedimento specifico come scalpellare, modellare o intagliare. Però è pure vero che queste attività tradizionali oggi devono convivere con altre attività più innovatrici. Sono numerosi gli scultori contemporanei che si dedicano a costruire oggetti artistici e di questi non sono pochi quelli che si sentono attratti dal mestiere degli architetti.
Uno di questi scultori è Eduardo Romo ( Cittá del Messico, 1966) che si è dedicato con diligenza a costruire opere tridimensionali di grande contundenza e solidità. Di padre architetto, dagli inizi della sua carriera negli anni ottanta, Romo s’impone il lavoro di riflettere sullo spazio scultorico a partire di concetti architettonici per creare opere come se si trattasse di edifici o costruzioni di ingegneria civile. In tutta la sua opera (il giovane scultore ha manipolato diversi materiali e è transitato per differenti fasi nella sua produzione) si fa evidente la configurazione razionale dello spazio che non contraddice il carattere emotivo e sensibile del suo linguaggio.
Nella sua ricerca affannosa per creare forme essenziali e definitive, Eduardo Romo ha sfociato recentemente in un’astrazione ascética. Le opere scultoriche di sua nuova produzione non riproducono ne simulano nessuna realtà, queste si erigono con la propria realtà, con una intensità capace di riprodurre i più svariati impatti visivi. Sono autentiche costruzioni di legno, opere organiche concepite con concetti architettonici che, nel suo ascetismo, pretendono esaltare la struttura razionale e l’espressività del materiale nel discorso della scultura contemporanea. Oggi come sempre Eduardo Romo crea forme tridimensionali la cui presenza estetica motiva lo sguardo a spiccare il volo poetico.
Antonio Espinoza
Critico d’arte, Cittá del Messico, febbraio 2004
La sottile contundenza dello spazio
La scultura astratta, a volte piú che la pittura astratta, chiede in modo particolare una motivazione interpretativa da colui che la contempla. Nella pittura l’immagine si perde in ara di una cattura pura; nella scultura la forma permane inevitabilmente, e l’oggetto diventa tanto piú enigmatico quanto piú libero. Le mani dello scultore astrattista devono trovare un codice che permetta parlare al materiale e la volume e con questo progettare possibili metafore di significati o di sensazioni. Eduardo Romo consegue questo attraverso una sottile architettura dello spazio scultorio, sottolineando semplicemente le vie che l’occhio deve percorrere per comprendere ogni pezzo al fine che sia la eloquenza del materiale quella che si esprima nella maggior misura possibile. Della scultura fondata sulla geometria pura Eduardo elude la freddezza matematica, peró conserva i suoi principi piú elementari: l’orizzonte e il vertice; della scultura meramente organica riprende il rispetto alle qualità naturali della sua materia di lavoro, però le manipola quasi come se portasse a fine una chirurgia invisibile. Così una trave smette di essere una trave, sia verticale o orizzontale: l’oggetto diventa ingannevole, l’occhio passeggia per gli spazi negativi, li completa, gira verso l’interiore del pezzo e appare dall’altro estremo come se avesse attraversato un tunnel, gode nella struttura amabile, scopre colpi insperati. La luce incide, crea ombre o vuoti d’intensità variabili, il legno parla tramite le proprie impronte, delle sue vicissitudini messe in evidenza dall’intenzione dello scultore, a volte risaltate grazie alla memoria del fuoco, alla capacità significante del fuoco, che permette dare a una serie di pezzi di legno appena tagliati una vivenza poetica. In alcuni casi l’artista propone un contrasto, chissà una vite nel luogo giusto per creare contrasto, per conseguire che l’oggetto-scultura si metta in discussione nuovamente e che rinforzi la sua presenza estetica e il suo mistero spaziale. Questo mistero della percezione è quella che inquieta Eduardo Romo, e il suo interesse è quello di farlo evidente senza maggiore sfoggio che quello della contundenza dello spazio scultorio.
Gonzalo Vélez
Scrittore e critico d’arte, Cittá del Messico, Luglio 2001
Dialoghi con il legno
La domanda fondamentale: ¿Perché la scultura?
Che ti posso dire? Semplicemente sono scelte che non sai se stai prendendo tu o se questa disciplina ha preso per te. Lo dico per quello che segue: nel caso della scultura che è quello che io faccio, quando avevo pochi anni avevo già l’inquietudine di fare cosette con materiali ovviamente non professionali; passano gli anni e ti trovi a fare la stessa cosa, e d’un tratto ti preoccupi di più per la qualità del materiale, compri gesso, compri argilla e in un battibaleno ti rendi conto che stai facendo lo stesso di quando eri piccolo ma con formati più grandi, con un concetto migliore, con materiali migliori; e di colpo qualcuno ti dice: maestro Eduardo Romo, scultore Eduardo Romo, e dice: accidenti sei già scultore.
Perché il legno?
Perché é un materiale vivo, in un certo modo è un materiale che presenta una consistenza, un’intensità, che sono testimonianze del tempo, lo sviluppo della corteccia, lo sviluppo delle fessure, le crepe, quando è rovinata, quando ha i semi, quando ha i funghi, quando è umida, infine, tutto questo tipo di cose.
Mi sono reso conto che è un materiale molto nobile, che racchiude qualità proprie e sento che è un materiale con il quale esiste un dialogo; con la pietra no, la pietra impone le sue caratteristiche e anche tu come realizzatore imponi un’idea, però il legno è più caldo e in fin dei conti è perché è vivo, no?, perché è costantemente in movimento.
Eduardo commenta l’importanza che da, nella sua opera, alla tecnica e al concetto:
Entrambe le cose mi importano allo stesso modo. Negli ultimi tempi il produttore propende di più per il concetto che per la sua realizzazione. Con l’idea dell’eclettismo, a partire degli anni 70, il postmodernismo, la libertà delle tecniche e del dialogo, la gente si sta preoccupando più per quello che dico, che nel come lo dico. Entrambi per me hanno la stessa importanza: quello che ho detto e come l’ho detto.
Cristina Olmlos / Ariane Díaz
Editrici di Neurona, Città del Messico, ottobre 2002
Eduardo Romo e il suo linguaggio astratto
Scultura é volume, spazio, relazione tra massa e vuoto, materia, struttura, a volte colore, acqua… per molti che siano questi elementi e altri possibili, lo scultore lavora con una varietà di risorse relativamente limitata davanti a quest’ arte. In cambio di questo, i suoi oggetti hanno una qualità di una realtà tangibile, s’iscrivono con una presenza più forte, non illudente, nel mondo degli altri oggetti esistenti.
In Eduardo romo la preferenza é l’astrazione, dove appena a volto existe certo rimando alla realtà naturale, come una suggestione velata. Prima di dedicare la propria attenzione al legno era passato per l’uso di altri materiali: pietre, pietre artificiali; il gioco di forme geometriche predominava, incluso con riferimenti a certe soluzioni della scultura prehispanica; dopo ha lavorato sulla opposizione tra geometria e accidente. Ora il legno assume modi piú organici, dove la mano dello scultore a volte interviene in modo molto discreto, solo per aiutare a che lo stesso materiale si esprima; in altre occasioni c’è un intaglio e un pulimento sottili, e anche il trattamento di fuoco o lacca, o il sommarsi di elementi metallici, peró il tutto incamminato a che sia il legno ad esprimere –per dirlo cosí- le sue qualitá costitutive.
Jorge Alberto Manrique
Critico d’arte, Messico, maggio 1994
La scultura di Eduardo Romo
La scultura di Eduardo Romo si orienta a soluzioni astratte che gli servono per sottomettere a rigoroso controllo i valori formali del suo linguaggio plastico. Senza dubbio, il risultato nella sua opera è sempre fedele al dato della realtà, visto che la sua esigenza di ordine e di impronta classica lo inclinano verso un discorso denso e robusto, profondamente radicato nella vita, da cuoi Romo assorbe la forza piú genuine. Il suo gusto raffinato non rinuncia alla squisitezza della materia, sia questa quale sia, vista come base di nuove esperienze.
Riassumendo, il talento di Romo per la struttura e la sintesi delle forme, si risolve in una scultura che riflette il senso del tempo e apre il cammino a nuove soluzioni fantastiche.
Berta Taracena
Critica d’ arte, Cittá del Messico, maggio 1994